camillo combinaguai,
un racconto sui punti di vista e su come lo stesso evento possa essere percepito e valutato in modi diversi. C’è la principessa, Fortunata, e c’è il futuro sposo, Camillo.
Ma come inizia?
Camillo Combinaguai era il bambino più triste del Paesedilà. Per quanto si sforzasse non riusciva (ma dico, davvero non riusciva) a combinarne una giusta. C’era chi riusciva a combinarne una giusta a metà. Qualcuno davvero bravo anche una giusta per tre quarti. Ma Camillo niente. Per quanto si sforzasse non ci riusciva proprio.
Appena nato c’è chi piange a dirotto. C’è chi piange così così. Chi piange un poco solamente. E poi c’è Camillo, che non aveva pianto per nulla.
- Ecco, iniziamo bene, - disse il papà. - Non piange, non piange proprio. è un segno di sfortuna.
E vuoi per sfortuna, vuoi per davvero, proprio appena ebbe finito di dire quella frase, il papà, non si sa come, prese lo spigolo dell’appendipiatti proprio sulla fronte e un bernoccolo grande come un melone cominciò a crescergli sulla testa.
- Ecco, cominciamo bene, e proseguiamo meglio, - si lamentò. – Oh, che disgrazia, che disgrazia!
Non è che lo avesse fatto apposta, povero Camillo, ma a lui di piangere non andava proprio. E poi era così buffo quello che aveva appena visto che cominciò a ridere, ma a ridere, ma a ridere così tanto che lo sentirono fino nel Paesediqua.